Mauro Mazza: “Racconto il tradimento di Galeazzo Ciano (e come diceva Papini le colpe del tradito)”

Il dialogo tra Barbadillo e lo scrittore romano autore del romanzo "Diario dell'ultima notte. Ciano-Mussolini, lo scontro finale"

Diario dell’ultima notte di Mauro Mazza

Pubblichiamo un lungo dialogo tra il “nostro” Giancarlo Antognoni e Mauro Mazza, scrittore e giornalista di pregio, già direttore del Tg2 e RaiUno. Mazza è autore del romanzo “Diario dell’ultima notte. Ciano-Mussolini, lo scontro finale” per La Lepre edizioni

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Caro Mauro, intanto auguri sinceri di una pronta guarigione da parte di tutta l’équipe di Barbadillo. Poi, una domanda franca, com’è giusto fra persone che hanno condiviso un lungo percorso in comune. Come ti è venuto in mente di dedicare un romanzo proprio a Ciano? Se c’è una persona che era riuscito a guadagnarsi il disprezzo di tutti, a divenire, come scrivi tu, la persona più odiata d’Italia, era proprio “il ministro sui generis”, come l’aveva definito Starace, cui a volte non mancava un certo senso dell’humour.

Mauro Mazza: “Grazie di cuore per gli auguri. Dopo essermi ritrovato all’improvviso (nei primi giorni di maggio) vittima di un Covid violento e aggressivo e dopo essere stato per alcune ore in reale pericolo, sto maturando la convinzione di aver conquistato sul campo il diritto a una sorta di seconda nascita, un tratto di vita che sarà ovviamente molto più breve del precedente, ma di sicuro più consapevole e intenso. Tempo da perdere non ce n’è più. Forse era così anche prima, ma ora lo so con certezza. Vale per le persone da frequentare e per quelle da evitare, per i libri da leggere o da buttare, per le storie meritevoli di essere raccontate. Ecco, quella di Galeazzo Ciano è una storia forte e significativa; il desiderio di scriverne in forma di romanzo si sviluppò fin dagli studi iniziali, che cominciarono seriamente quattro/cinque anni fa.  Ero stato subito attratto dal destino di quest’uomo, invidiatissimo e odiatissimo, vanesio e brillante. Mi parve subito impossibile che fosse tutto così banale e semplice: entra in casa Mussolini, ne diventa il genero raccomandato, giovanissimo ministro degli esteri e punta a diventare il nuovo duce… No, una qualche complessità quel ragazzone belloccio e ambizioso doveva averla. E l’aveva, anche culturalmente. Donnaiolo incallito, ma drammaturgo potenzialmente capace. Amico di Ettore Petrolini, a  18 anni è nel loggione del romano Teatro Valle per la prima dei “Sei personaggi” di Pirandello, al fianco di Orio Vergani, pronto a difendere l’autore siciliano da attacchi e contestazioni. In una battuta, potrei dire che sembrava tutto così scontato – Ciano traditore, giustamente mandato a morte – che la verità doveva essere necessariamente diversa. A pensarci bene, mentre altri gerarchi del 25 luglio furono in buon numero vaccinati, convertiti all’antifascismo o redenti dalla benedizione del nuovo potere, solamente Ciano restò orfano: comunque traditor dei traditori per i fascisti; comunque delfino di Mussolini e firmatario del Patto d’Acciaio per gli antifascisti. Non potevo accontentarmi di uno schema manicheo così banale. E forse, come Leonardo Sciascia, ho pensato che allo scrittore più che all’intellettuale, al narratore più che allo studioso, tocchi in sorte d’avvicinarsi alla verità delle cose per come realmente accaddero”.

Mauro Mazza, giornalista e scrittore

Su Ciano è stato scritto molto, sia a livello di memorialistica, sia di saggistica, a partire dalla biografia di Giordano Bruno Guerri che gli valse una querela da una figlia dell’ex ministro degli Esteri. Quali sono secondo te le fonti più attendibili, quelle di cui ti sei servito?

“Non saprei elencare gerarchicamente le mie fonti in ordine d’importanza. Penso d’aver letto tutto il pubblicato, o quasi, riempito quaderni su quaderni di appunti, prima di una fase di elaborazione non scritta. Ho scritto altri romanzi e ogni volta quel tempo riservato alla riflessione, precedente la prima stesura, si è rivelato essenziale. Proprio in quanto narratore, non ho avuto bisogno di dare conto e prova di ogni affermazione o fatto, ma resto convinto che i fatti non si svolsero in modo molto difforme da come li ho narrati nella versione definitiva. E penso, anche, che i protagonisti di quello che benevolmente è stato definito un corale romanzo-verità, si riconoscerebbero nella maggior parte dei pensieri e delle parole che ho loro attribuito”.

Nel tuo libro c’è una bella citazione di Papini, autore che ti è caro e cui hai dedicato la tua opera prima. Commentando nel suo diario il processo di Verona, il grande scrittore fiorentino scrive che “in ogni tradimento, di qualsiasi sorta, una parte di colpa risale allo stesso tradito.” Lo pensi anche tu?

Quello di inserire comunque un Papini dentro un mio romanzo è un vezzo al quale finora non ho rinunciato. Così è stato per il romanzo su Weimar 1942 (L’Albero del Mondo) quando in ottobre tra gli italiani che parteciparono al convegno di Goebbels ci furono Vittorini e Pintor, ma non Papini, che aveva invece marcato polemicamente la sua presenza al raduno della primavera precedente. Quanto alla citazione dai suoi Diari, come si può credibilmente pensare che un leader come Mussolini non abbia nessuna responsabilità nel tradimento di cui fu vittima? Davvero non si accorse di nulla? Piuttosto, era politicamente in grave crisi: sbarco in Sicilia, bombe su Roma, senso d’impotenza di fronte a Hitler e allo stesso Savoia. Quando gli ordinano di salire su un’ambulanza, dopo il colloquio col re, Mussolini già non è più lui, deluso per essere stato arrestato, ma consapevole che la sua guerra è perduta e la sua parabola finita”.

Un valore aggiunto del tuo libro è il diario del giovanissimo diplomato delle magistrali che per reazione al 25 luglio e soprattutto all’8 settembre si arruola nella Guardia nazionale repubblicana. Mi sembra una scelta felice, se non altro perché mette a contatto indirettamente due generazioni diverse: quella che, come Ciano, senza aver partecipato all’epopea dello squadrismo, dal regime lucrò incarichi e prebende, e quella di chi mise a repentaglio la propria vita per fedeltà a Mussolini e a una certa idea dell’Italia. C’è qualcosa di autobiografico in quel personaggio, che lentamente avverte molti limiti del neofascismo e finisce per comprendere le ragioni di Ciano? Anche molti di noi hanno scelto di militare a destra per reazione alle viltà dei politici moderati degli anni Settanta, ma poi abbiamo capito che il fascismo insieme a molti innegabili colpe aveva anche i suoi limiti?

“Non parlerei di passaggi autobiografici, ma di sentimenti che ho sempre provato di fronte alla storia della nostra guerra civile, la peggiore di tutte le guerre. Una volta, lavoravo al Tg1, mi chiesero di condurre una seconda serata sui racconti di quella generazione che aveva vent’anni nel ’43 e che – non proprio indifferentemente, ma quasi – scelse di militare per l’una o per l’altra parte. Coetanei compagni di giochi fino al giorno prima, amici contrapposti pronti ad ammazzarsi, famiglie lacerate. Il fratello di Toni Negri, Enrico, volontario bersagliere con Mussolini, ucciso dai partigiani. E Toni che vorrebbe partire per vendicarlo… Guido Pasolini, ucciso a Porzûs e il più piccolo Pierpaolo che lo elegge a suo modello. Ecco, in quel programma su RaiUno che condussi, affidai il finale alla lettera di un ventenne in attesa d’essere ucciso. Nessuno seppe dire se quelle righe, appassionate d’amore per l’Italia, fossero di un volontario nella Rsi o di un partigiano. Il mio maestrino friulano è assalito dai dubbi su quella svolta virulenta. Lui vorrebbe combattere contro gli angloamericani, non sparare ad altri italiani. Poi, nel suo piccolo, ha preso in simpatia lo stesso Ciano, gli fa rabbia che sia lui a pagare il prezzo più alto, mentre gli altri traditori sono al sicuro e ben protetti”.

Hai avuto contatti con appartenenti alla famiglia Ciano-Mussolini prima della stesura dell’opera, o ti sei basato solo sulla per altro ricca bibliografia esistente?

“Volutamente non ho cercato contatti diretti. Ma ti confido che, avendo indicato il mio indirizzo di posta elettronica sotto le note biografiche, tra molte altre lettere, ho ricevuto anche una bella email di Piefrancesco Ciano, figlio di Marzio. È stato un momento di grande conforto e soddisfazione per me”.

Che opinione ti sei fatta di Edda Ciano? Io non ti nascondo molte perplessità sul suo conto, non tanto per le infedeltà al marito e per l’ amore per un comunista quando era ancora fresca di vedovanza, ma per una certa alterigia che credo, a quello che mi dissero molti amici, sia perdurata anche “dopo la caduta”.

“Nel mio racconto Edda giganteggia. In quei mesi ultimi per il marito, si sente personalmente responsabile d’aver voluto chiedere aiuto ai tedeschi, creando le premesse della fine. La rottura col padre, le liti furiose con la mamma Rachele confermano la sua dimensione tragica. Per lei, come per tutto il resto, la storia finisce nel 1945. Il resto è aneddotica su una famiglia complicata e comunque divisa, biografie più o meno rilevanti, vicende di rampolli più ambiziosi che capaci”.

Il tuo romanzo non è solo un “Diario dell’ultima notte”, come recita il titolo, ma abbraccia un arco storico che spazia dai prodromi del 25 luglio alla fucilazione dei “traditori”. Alcune belle pagine sono dedicate a Mussolini. C’è in particolare una frase che mi ha colpito e commosso. È quando scrivi che parlando col parroco della Maddalena, don Catola, il recluso Mussolini “respira briciole d’eterno”. Credi davvero in una conversione del vecchio anticlericale, come sosteneva don Ennio Innocenti?

“Dialogai più volte con don Ennio Innocenti sulla conversione di Mussolini. Personalmente, preferisco non dare risposte in un senso o nell’altro. È la storia a non averci lasciato indicazioni precise. Resta quel suo travaglio nelle settimane di Ponza e de La Maddalena, tra una sorta di identificazione con la figura di Cristo – tradito, umiliato, abbandonato dagli stessi apostoli – e il dolore che torna a sanguinare nella ricorrenza della morte del figlio Bruno. Ecco,  la frase che tu ricordi sulle “briciole d’eterno” è uno dei mille esempi di cui sono piene le pagine del libro, in cui verità e verosimiglianza potrebbero essere sovrapposte senza timore di sconfessioni. Tra i commenti più belli sul carattere del romanzo, ne ho letti un paio di elogio allo stile  di un racconto in cui, pur essendo nota la fine, sono talmente tanti i colpi di scena e le svolte possibili che il lettore è ripetutamente indotto a ipotizzare una diversa conclusione”. 

Grazie, Mauro, e auguri per la tua seconda nascita (Papini docet).

@barbadilloit

Giancarlo Antognoni

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