La Forza della Poesia. Dino Campana e la versione orfica dei versi notturni

Il titolo dell’opera di Campana fa riferimento ai Canti di Leopardi, di cui il poeta di Marradi si sentiva erede, mentre l’aggettivo orfico esprime la natura divina e misteriosa della poesia

Dino Campana

«Me ne vado per le strade

strette oscure e misteriose: 

vedo dietro le vetrate

affacciate Gemme e Rose. 

Dalle scale misteriose

c’è chi scende brancolando:

dietro i vetri rilucenti

stan le ciane commentando.

La stradina è solitaria:

non c’è un cane: qualche stella

nella notte sopra i tetti:

e la notte mi par bella. 

E cammino poveretto 

nella notte fantasiosa, 

pur mi sento nella bocca 

la saliva disgustosa. Via dal tanfo

Via dal tanfo e per le strade 

E cammina e via cammina, 

già le case son più rade. 

Trovo l’erba: mi ci stendo 

a conciarmi come un cane: 

da lontano un ubriaco

canta amore alle persiane.»

 

Questa poesia di Dino Campana, uno dei pochi poeti “maledetti” italiani, intitolata non a caso in francese La petite promenade du poéte, fa parte della sezione Notturni dei Canti orfici, «il libro più controverso e discusso del nostro Novecento» (Umberto Fiori), stampato nel 1914. 

Una piccola passeggiata notturna 

Sono note le sofferte vicende della pubblicazione di questa raccolta, il cui manoscritto originario fu smarrito durante un trasloco da Ardengo Soffici, cui era stato dato in lettura e che, peraltro, ne colse subito il valore poetico, dal momento che in una magnifica pagina dei Ricordi di vita artistica e letteraria  scrisse: «Lessi il libro da cima a fondo riportandone l’impressione di una aperta luce solare». 

Il titolo dell’opera di Campana fa riferimento ai Canti di Leopardi, di cui il poeta di Marradi si sentiva erede, mentre l’aggettivo orfico esprime la natura divina e misteriosa della poesia. 

La passeggiata di Campana, dal ritmo facile e popolaresco che viene reso, tecnicamente, dall’uso degli ottonari e la fa assomigliare ad una filastrocca, esprime una disperata solitudine e quella fuga dalle convenzioni borghesi, dal proprio tempo e da sé stesso, che il fascino della notte a mala pena attenua. 

Quella di Campana può considerarsi una vera e propria confessione, perché riesce ad esprimere, per dirla con Maria Zambrano, «le viscere dolenti e vivide, la vita nella sua dispersione e oscurità». La confessione, precisa la filosofa spagnola, «comincia sempre con una fuga da sé. Parte da una situazione di disperazione. Il suo presupposto è quello di ogni partenza: una speranza e una disperazione, la disperazione di ciò che si è e la speranza che appaia qualcosa che ancora non si possiede» (in La confessione come genere letterario). 

Ma la Chimera del poeta di Marradi non conduce alla fine ad alcuna speranza, ad alcuna verità condivisa, ad alcun paradiso ritrovato. Con Campana la disarmonia del vivere e l’inquietudine, temi letterari ed esistenziali tipici del Novecento,  fanno capolino nella poesia italiana.

(fine 3^ parte)

Sandro Marano

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