Il Faust di Pessoa: una tragedia del soggetto\2

Rispetto all'opera di Goethe, quella del grande poeta portoghese rappresenta una sorta di Anti-Faust

Tornando al Pessoa drammaturgo, se il «dramma statico» Il Marinaio è un’opera completa, scritta in soli due giorni nell’ottobre del 1913, per poi essere rivista e pubblicata nel 1915, il Faust, al contrario, rimase incompiuto, nonostante Pessoa vi abbia lavorato per più di venticinque anni, dal 1907 al 1934, finendo per trasformarsi, come il Faust di Goethe (lo scrittore tedesco, è noto, vi lavorò per quasi sessant’anni, dal 1773 al 1831) nell’opera di un’intera vita.

All’inizio, l’intento di Pessoa era quello di scrivere una vera tragedia, riproponendo per l’appunto il tema di Faust, del suo dibattito intercorso con Dio e il Diavolo. Progettò perfino di riprendere il mito fin dalle sue origini, facendo di un certo Frei Gil de Santarém, cabalista portoghese del XIII secolo – sostanzialmente un Faust ante litteram, alla cui leggendaria esistenza si erano peraltro interessati, già prima, due altre grandi figure letterarie portoghesi, Almeida Garrett e Eça de Queirós – l’eroe del suo dramma. Tale progetto, tuttavia, restò a poco a poco imbrigliato in quella massa di riflessioni e ripensamenti che sempre hanno rappresentato l’asse portante, il cardine propulsore dell’attività creatrice pessoana. Fatto sta, però, che Fernando Pessoa s’impegnò anima e corpo nel tentativo di scrivere sul mito faustiano un dramma teatrale secondo la sua impostazione mentale e il modo di concepire la vita da parte di un poeta-alchimista, quale lui effettivamente era, alla ricerca di risposte sui misteri divini, sugli enigmi umani: vivendo nell’ombra e nel frattempo cercando la luce, solitario eppure bisognoso d’amare, con la voglia di vivere ma pur sempre terrorizzato dalla morte.

Alla fine, nel tentativo di elaborare un testo drammaturgico di ampio respiro, e che in qualche modo avrebbe dovuto essere una replica al meraviglioso testo di Goethe – tant’è che alcune annotazioni autografe pessoane alludono a un «Primo», a un «Secondo» e a un «Terzo Faust» –, questo grande spersonalizzato, quale era appunto Pessoa con la creazione dei suoi eteronomi, non riuscì a spersonalizzarsi. Cosicché, a ben vedere, quel che si legge nei 227 frammenti, di cui solo sette dattiloscritti e solo dieci datati, costituenti quel che noi conosciamo come il suo Primo Faust – scritto e riscritto ossessivamente nel corso di più di venticinque anni e che solo nel 1988, grazie a un lavoro di decifrazione e ricostruzione ammirevole e attento, ma pur sempre arbitrario, di Teresa Sobral Cunha, sarà pubblicato in Portogallo, con il titolo Fausto. Tragédia subjectiva (Fragmentos), in verso libero e suddiviso in cinque atti, quattro intermezzi e un finale, di certo incompiuti, quanto meno gli atti – altro non è che una lunga confessione disperata dell’autore.

Pessoa ha lasciato alcune interessanti annotazioni in cui espone il piano del suo Faust. Tali annotazioni, oltre a facilitare l’organizzazione dei frammenti, dimostrano come il poeta abbia lasciato scritto l’essenziale della sua «tragedia soggettiva». Scrive Pessoa in una di queste annotazioni:

 

«Il dramma nel suo insieme rappresenta la lotta fra l’Intelligenza e la Vita, in cui l’Intelligenza è sempre sconfitta. L’Intelligenza è rappresentata da Faust e la Vita in modi diversi, secondo le circostanze sollecitate dal dramma» [PESSOA, 1988: 190].

 

In un’altra annotazione, volta anche questa a spiegare «l’ambiente drammatico del Primo Faust», si legge:

 

«Un altro modo di porre lo stesso problema o, meglio, la stessa tesi: / 1° Atto: Conflitto dell’Intelligenza con se stessa. / 2° Atto: Conflitto dell’Intelligenza con altre Intelligenze. / 3° Atto: Conflitto dell’Intelligenza con l’Emozione. / 4° Atto: Conflitto dell’Intelligenza con l’Azione. / 5° Atto: Sconfitta dell’Intelligenza» [IDEM: 192].

 

Per il critico José Augusto Seabra tale progetto prefigurato da Pessoa, poiché conflitto non tanto «di personaggi in scena» quanto piuttosto «di concetti astratti», oltre a dimostrare l’incapacità da parte dello scrittore di realizzarlo «all’interno della “poesia drammatica” propriamente detta», si presenta con un «eccesso di razionalizzazione» che impedisce di fatto il «passaggio dal concetto all’atto creativo» [SEABRA, 1982: 19-25 (21, 24)].

Condivido totalmente l’analisi di Seabra. D’altronde è sufficiente leggere solo alcune delle pagine di questa opera frammentaria pessoana per accorgersi d’immediato che Faust è il poeta stesso che parla in prima persona, senza ricorrere ad abiti di scena né a effetti scenografici. Quel che Pessoa ha scritto non è altro che una serie di monologhi lirici, pur se con un accento tragico, che mai sostanzialmente egli sarebbe riuscito a trasformare in dialoghi.

Prima edizione del Faust di Pessoa. A cura di Teresa Sobral Cunha. Lisbona 1988

È il caso del monologo di Faust nel suo laboratorio (collocato da Teresa Sobral Cunha nel I Atto) [PESSOA, 1988: 6-10], un monologo metafisico-ontologico, impregnato di ermetismo, e dal quale si evince l’inutile lotta intrapresa dall’«Intelligenza» (ossia, da Faust stesso) che desidera fortemente – annota Pessoa – «comprendere la Vita, finendo però per essere sconfitta e per comprendere soltanto che non riuscirà mai a comprendere la vita» [IDEM: 190].

E ancora dell’altro monologo di Faust in presenza del popolo allegro (nell’edizione curata di Teresa Sobral Cunha collocato sempre nel I Atto), in cui questi rivela tutta la sua incapacità a capire l’allegria che un ambiente festivo suscita nella maggioranza degli esseri umani, dei suoi simili; quindi, un monologo che, così come il resto dell’opera, è caratterizzato dalla negatività e dal pessimismo più cupo [cfr. IDEM: 14-22].

Invero, abbiamo dei frammenti – risalenti, quasi certamente, ai primi anni di scrittura del Faust, quando ancora non si era imposto in Pessoa l’influsso degli ideali e dei canoni teatrali simbolisti – in cui intervengono vari personaggi o presunti tali, che corrispondono ai nomi di Lucifero, Cristo, Budda, Goethe, Shakespeare, Vicente, discepolo di Faust, Maria, colei «che Faust “tenta di sapere amare”» [IDEM: 190], un Vecchio fattucchiere preparatore di filtri magici e poi una serie di «voci», così vengono indicati nelle didascalie, e, per finire, la Morte, che appare nel Finale – praticamente un prolungamento del quinto e ultimo atto – a simboleggiare «il fallimento finale dell’Intelligenza  di fronte alla Vita» [IDEM: 191]:

 

«[MORTE:] Colui che nel pensare ha sofferto / nella pazzia è stato felice. / Ah, vieni a me, ché sei mio. / Ti porterò nel luogo / del quale nessuno nulla dice / e che nessuno ha mai immaginato. // Né Dio, né cielo, né inferno, / né vite o morte / nell’incomprensibile eterno / che ha aperto il tuo pensare profondo. / Vieni, dai tuoi occhi svaniscano il bene e il male; e per te cada / la mia ombra sul mondo. // L’oppressione del mistero / ti macchia l’anima di luce; / vieni con me che mi dirigo / al di là del vuoto sidereo. / Traluci. / Andiamo oltre il riposo, andiamo oltre la luce. // Tu, triste, che hai riso e pianto / e, oltre il riso e il pianto, hai sofferto patimenti… / vieni a me, ché io so amare. / FAUST: Oh, Morte, vieni a prendermi! / MORTE: Vieni, figlio mio, eccomi! // * “Una voce come un sospiro”: / Chissà se ancora / non è più profondo / del pensiero / l’enigma del mondo! // Chissà, chissà! / Orrore, ah orrore! Se hai anche sognato / triste pensatore! / Più freddo, più folle / il mistero sarà / di quel che tu hai trovato! Se ancora vi sarà, al di là dell’Aldilà, / sempre più orrore! / Hai anche delirato, / mostro di Dolore! // Presto, presto, / ricordiamo infine: / pensare è vivere, / misteri e dolore, / sognare e miscredere, orrore, / orrore, tutto orrore! / In una notte senza fine. // Figlio delle tenebre, / non fissare la luce. / Guai a te, se t’innalzi, / tu solo raggiungerai / le braccia di una croce. / Figlio delle tenebre! // Figlio della notte, / il mattino non si animi / mai, mai si animi. / Ogni speranza è vana, / figlio della notte!» [IDEM: 183-185].

 

Nonostante questo “sforzo” è tuttavia palese da parte di Pessoa la difficoltà, quando non proprio l’incapacità di creare dei personaggi, ciascuno con una propria identità e conflittualità. Siamo al cospetto – ripeto – di una sequenza di meravigliosi monologhi lirici, da cui, volendo, si potrebbe ricavare una corposa antologia che avrebbe tutte le caratteristiche di una lunga e struggente confessione.

Orbene, sia dai frammenti riportati, sia da quello che ho esposto – pur se in estrema sintesi – circa gli aspetti più importanti del Faust pessoano, si evince come esso sia, in un certo qual modo, un “Anti-Faust” se rapportato al dramma goethiano.

Scrive Ángel Crespo:

 

«Tanto Goethe quanto Pessoa, entrambi debitori, e in altissimo grado, alla tradizione esoterica, concordavano con l’asserzione di Swedenborg secondo cui “Il mondo visibile, nel suo insieme, altro non è che la rappresentazione del mondo spirituale”. Proprio per questo Goethe ha scritto alla fine della seconda parte del suo Faust che “Alles Vergängliches ist nur ein Gleichnis” (“Tutto quel che è temporale è soltanto un simile”) e l’inizio del Faust pessoano recita “tutto è simbolo e analogia”; tuttavia il simbolo dell’Intelligenza rappresentato da Faust è trattato, potremmo dire fatalmente, in modo molto diverso dai due poeti» [CRESPO, 1995: 290].

 

Senz’altro, Pessoa è partito inizialmente dal Faust di Goethe. Con il passare del tempo, però, il suo carattere e l’esperienza maturata avrebbero fatto sì che alla fine si allontanasse dalla «soluzione salvifica» del suo iniziale mentore letterario e spirituale, per approdare a una lettura assai pessimistica. A un tempo, sempre il suo carattere e la sua esperienza gli avrebbero fatto rinunciare al dramma d’azione – in cui al contrario Goethe credeva fermamente – finendo per optare per il dramma statico.

Di questo Pessoa era assolutamente cosciente. Tant’è che avrebbe scritto, in una sua nota del 1915, a proposito del Faust goethiano, che esso non era «intuìto completamente, ma, pur se ispirato, come tutto quel che è poesia, pensato e pensato troppo» [cit. in QUADROS, 19942: 87].

Ora è chiaro che in questa sua asserzione Pessoa non si riferisce, come giustamente nota Ángel Crespo,

 

«al pensiero filosofico ed esoterico – che è una costante del suo stesso “Faust” – quanto piuttosto al pensiero teatrale, al calcolo della struttura e degli effetti artistici del dramma, che presuppongono uno spirito meno dominato del suo dall’angustia metafisica e vitale» [CRESPO, 1995: 291].

 

In altre parole, al contrario del Faust di Goethe che, com’è noto, dopo aver cercato «nel suo perfezionamento morale l’equilibrio del suo carattere», alla fine riesce a trovarlo e con esso trova anche «la sua salvazione», il Faust di Pessoa

 

«non riesce a liberarsi – così come d’altronde non ha saputo liberarsi il suo autore, di cui è maschera letteraria – dal circolo infernale delle sue ossessioni» [IDEM: 291-292].

 

È pur vero, tuttavia, che accanto al Fernando Pessoa “tragico” e “notturno” – che è appunto quello del Faust: un Pessoa angosciato e frustrato, sconfitto di fronte al mistero, inorridito di fronte all’ignoto, paralizzato di fronte all’amore, spaventato di fronte alla morte – esiste anche il Fernando Pessoa “epico” e “diurno”, il Pessoa iniziato e creativo, dallo spirito profetico e mitogenico: il Pessoa, per intenderci, del poema Messaggio, dell’elegia Alla memoria del Presidente-Re Sidónio Pais e di tutti gli altri suoi componimenti gnostici ed esoterici.

Ebbene, è proprio a seguito di tale aspetto plurimo e poliedrico, a livello umano oltre che letterario, che Fernando Pessoa rientra nel novero dei maggiori poeti e scrittori, in assoluto, del Novecento.

 

(Fine)

 LEGGI LA PRIMA PARTE

Bibliografia di riferimento

– BLANCO, José, 1983. Fernando Pessoa. Esboço de uma bibliografia. Imprensa Nacional-Casa da Moeda / Centro de Estudos Pessoanos, Lisboa.

– CRESPO, Ángel, 1995. El Fausto. In Idem, Con Fernando Pessoa. Huerga & Fierro editores, Madrid: 259-327.

– JÚDICE, Nuno, 1986. A era do “Orpheu”. Lisboa, Teorema.

– LANCIANI, Giulia, 2000. Identità e possessione: il Faust di Pessoa. In Marino Freschi (a cura di). La storia di Faust nelle letterature europee. Napoli, Cuen: 191-206.

– PESSOA, Fernando, 1988. Fausto. Tragédia subjectiva (Fragmentos). Estabelecimento do texto, ordenação, nota à edição e notas [di] Teresa Sobral Cunha. Prefácio [di] Eduardo Lourenço. Editorial Presença, Lisboa.

– PIZARRO, Jerónimo – FERRARI, Patrício (edição de), 2013. Eu Sou una Antologia. 136 Autores Fictícios. Fernando Pessoa. Tinta-da-china, Lisboa.

– QUADROS, António, s. d. (Introdução e organização de). Obra poética de Fernando Pessoa. Poesia I. 1902-1929. Publicações Europa-América, Lisboa.

– QUADROS, António, 1986 (Introdução, organização e notas de). Obra em Prosa de Fernando Pessoa. Escritos íntimos, cartas e páginas autobiográficas. Publicações Europa-América, Lisboa.

– QUADROS, António, 19942 (Organização, Introdução, Notas e Biobibliografia Básica Actualizada de). Obra em Prosa de Fernando Pessoa. Páginas sobre literatura e estética. Publicações Europa-América, Lisboa.

– SEABRA, José Augusto, 1982. Fernando Pessoa ou o poetodrama. Editora Perspectiva, São Paulo.

 

*[La prima versione di questo articolo sul Faust pessoano – qui riveduto e abbreviato – comparve nel periodico letterario «Letteratura – Tradizione», incluso nello «Speciale: Pessoa (1888-1935), unicità e molteplicità» (n. 35, novembre 2005, pp. 2-19 [2-3]), da me curato e con cui la rivista pesarese intese partecipare ai solenni omaggi che un po’ dappertutto, e non solo in Portogallo, vennero tributati a Fernando Pessoa nel settantenario della morte.

Tutte le traduzioni dei testi, sia in prosa che in versi, dello stesso Pessoa e dei riferimenti critici riportati nel presente articolo sono a mia cura].

 

Brunello Natale De Cusatis*

Brunello Natale De Cusatis* su Barbadillo.it

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