Focus. Il Ddl Zan una minaccia alla libertà d’opinione

L'intervento di Diego B. Panetta sul discusso disegno di legge sostenuto dai progressisti

No al ddl Zan

L’art. 2 dell’accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana che apporta modificazioni al Concordato Lateranense, siglato il 18 febbraio 1984, sancisce che «la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione».

«In particolare – si legge – è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica».

La missione pastorale, educativa nonché caritativa della Chiesa cattolica include la realtà del «matrimoniale foedus» (patto matrimoniale), «[…] con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla generazione e educazione della prole […]» (Can. 1055, comma 1).

La Chiesa, ricordando le verità razionali circa l’origine e i fini matrimoniali, non impone, non inventa nuove realtà, bensì ricorda, legge, scruta nella natura e nella sua capacità di essere colta razionalmente verità naturali conosciute già prima della Rivelazione di Cristo e da Egli perfezionate. La natura, per i classici greci e romani (Socrate, Platone, Aristotele, Cicerone), non ha mai assunto le sembianze dell’istinto, bensì il volto del fine/bene (ogni ente viene creato rispetto ad una finalità da attuare) che presuppone un ordine inscritto in natura, che non inventiamo, ma scopriamo.

Ora, basti ricordare l’etimo di matrimonium (mater munus, compito delle madri) per comprendere le finalità naturali che la filosofia giuridica romana assegnava al matrimonio e, soprattutto, per precludere qualsiasi protezione giuridica a stravaganti («al di fuori di un ordine prefissato dalla consuetudine o dalla norma» è la definizione che dà l’Oxford Languages), ipotesi di “altre” unioni. Queste non hanno alcuna ragion d’essere in virtù della definizione di natura, poc’anzi ricordata, che l’intelligenza coglie e alla quale la volontà deve sottomettersi (lo Stato tutela il matrimonio tra uomo e donna in quanto disposto ad accogliere potenzialmente il fine/bene del matrimonio, ovvero la prole, la quale darà nuove risorse umane/sociali/economiche allo Stato di provenienza – aumento del Pil, versamenti dei contributi pensionistici, quando questa raggiungerà l’età da lavoro, per coloro che sono già a riposo ecc.).

Il disegno di legge Zan, agli artt. 2 e 3 puniscono le «idee fondate sulla superiorità o sull’odio» e gli «atti discriminatori e violenti per motivi […] fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità». All’art. 1 il disegno di legge Zan definisce l’identità di genere come «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione».

Il diritto dovrebbe dunque ergersi a protezione di quanti non condividano il loro essere nati uomo o donna, e pertanto accordare loro una protezione e una giustificazione alla propria auto-percezione di sé. In virtù di cosa lo Stato deve garantire attraverso la previsione di un’apposita fattispecie di reato il rispetto di una auto-percezione? Ovvero, che rapporto ha l’auto-percezione di sé rispetto al bene comune, che lo stato ha il compito di preservare e attuare? Anche sposando per absurdum una visione parziale di bene comune, che comporta il concepire questo solamente in termini di benessere fisico-materiale e non anche funzione etico-morale, è forse accertato che vi è un grave problema compromettente la sicurezza sociale? Quanti sono i casi statistici che comprovano la presunta emergenza, tale da prevedere (ripeto) un’apposita fattispecie di reato?

Il filosofo Xavier Lacroix ricorda che il termine “riconoscimento” può assumere vari significati, tra i quali tre decisamente significativi: 1) «accettazione»; 2) «supporto sociale»; 3) «valorizzazione pubblica». Quest’ultima, scrive Lacroix, assume le vesti di una «benedizione sociale, una sorta di sacramento laico, in altre parole la consacrazione simbolica di una forma di vita […]»

«Un’etica del rispetto delle persone avalla il primo significato, non è ostile al secondo, ma non è sufficiente per avallare il terzo» commenta Lacroix (X. Lacroix, In principio la differenza. Omosessualità, matrimonio, adozione, trad. it., Vita e Pensiero, Milano 2006, p. 44). Eppure nessuno può negare come la valorizzazione pubblica presupponga de facto l’accettazione e il supporto sociale, i quali gradualmente conducono alla “benedizione sociale”. Inoltre, dalla lettura dell’art. 7, comma 3 tale scopo sembra indirettamente richiamato (si vedrà di seguito).

All’art. 4 si legge inoltre che «ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».

Se si afferma con Aristotele che la natura (fine) è «ciò cui ogni cosa tende» (Etica Nicomachea, I) e che dunque esiste esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna (giacché non esistono in natura altri generi) in quanto la riproduzione umana risponde ad una inclinazione naturale che richiede una stabilità affettiva ed una sicurezza sociale che solo il matrimonio garantisce (a cui il sacramento cristiano accorda la grazia santificante atta a sostenere le difficoltà e i sacrifici della vita in comune), in base al disegno di legge Zan si può essere denunziati da un privato cittadino o da una pubblica autorità e la stessa si incaricherà di determinare (in base a criteri del tutto oscuri, dunque arbitrari) se tale affermazione sia o meno idonea «[…] a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». 

Mauro Ronco, professore emerito di Diritto penale all’Università di Padova, durante l’audizione in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati, il 21 maggio scorso, spiega in realtà che «non v’è alcuna base empirica per distinguere tra giudizi espressi sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere per ragioni d’odio, da un lato, ovvero, da un altro lato, per ragioni religiose, metafisiche, etiche e sociali». Inoltre, aggiunge il prof. Ronco, «in questo modo, sotto il pretesto di arrecare una maggiore determinatezza alla norma, si intende porre sotto lo scudo della protezione penale tanto i vari orientamenti sessuali, ancora oggi valutati come disturbi della personalità, come la tendenza voyeuristica, la tendenza sessuale masochistica, la tendenza sessuale sadistica, la tendenza sessuale feticistica, quanto le ancora oggi assai controverse teorie del gender, alla cui stregua l’identità della persona non è determinata dalla biologia, bensì dalla libera scelta dell’individuo» (Centro Studi Livatino). 

L’art. 7 ricordato poc’anzi, infine, prevede l’istituzione del «giorno 17 maggio quale Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione».

Ma, soprattutto, al comma 3 prevede che «le scuole […] nonché le altre amministrazioni pubbliche provvedono alle attività di cui al precedente periodo», aprendo potenzialmente la strada all’accettazione forzata di una visione di natura, come detto, del tutto estranea alla ragione naturale e alla filosofia giuridica greco-romana e cristiana, che ha posto le fondamenta al diritto occidentale.

La nota fatta pervenire al Governo italiano dalla Santa Sede denunzia le conseguenze che dall’approvazione di tale disegno di legge possono sorgere rispetto alla violazione dell’articolo concordatario sopra richiamato, il quale garantisce alla Chiesa la libertà di predicare le verità fondamentali sul matrimonio e di esprimere ragionevoli critiche avverso altre “colonizzazioni ideologiche” non legittimate ad esistere in quanto non rispondenti all’ordine naturale.

Diego Benedetto Panetta

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