La Forza della Poesia. La sensuale nudità dell’estate vista da Gabriele d’Annunzio

Il Vate fu l’ultimo cantore d’una felice adesione alla vita, prima della grande crisi che di lì a poco avrebbe investito uomini e scrittori del XX secolo

Gabriele D’Annunzio

«Primamente intravidi il suo piè stretto
scorrere su per gli aghi arsi dei pini
ove estuava l’aere con grande
tremito, quasi bianca vampa effusa.
Le cicale si tacquero. Più rochi
si fecero i ruscelli. Copiosa
la resina gemette giù pe’ fusti.
Riconobbi il colùbro dal sentore.

Nel bosco degli ulivi la raggiunsi.
Scorsi l’ombre cerulee dei rami
su la schiena falcata, e i capei fulvi
nell’argento palladio trasvolare
senza suono.
Più lunghi nella stoppia,
l’allodola balzò dal solco raso,
la chiamò, la chiamò per nome in cielo.
Allora anch’io per nome la chiamai.
Tra i leandri la vidi che si volse.
Come in bronzea mèsse nel falasco
entrò, che richiudeasi strepitoso.
Più lungi, verso il lido, tra la paglia
marina il piede le si tolse in fallo.
Distesa cadde tra le sabbie e l’acque.
Il ponente schiumò ne’ suoi capegli.
Immensa apparve, immensa nudità.»

La sensuale nudità dell’estate

Gabriele D’Annunzio dedicò all’estate, intesa come esplosione di vita che fluisce, come abbandono e immersione nella natura vivente, un intero libro, l’Alcyone, che può considerarsi una sorta di diario poetico di una lunga estate marina trascorsa in Versilia in compagnia della donna amata. 

Nella poesia sopra riportata, composta di tre strofe di endecasillabi con assonanze irregolari e intitolata Stabat nuda Aestas, l’estate viene personificata ed appare al poeta come una donna sensuale che corre nuda tra le pinete e il mare per perdersi completamente nella immensità delle natura, tra «le sabbie e l’acque». 

Il titolo è tratto da un emistichio di un verso delle Metamorfosi di Ovidio: «Stabat nuda Aestas et spicea serta gerebat» ( (Stava nuda l’estate e portava ghirlande di spighe). Ma alla staticità del verso di Ovidio in D’Annunzio subentra una rappresentazione mossa e dinamica:  l’estate che appare al poeta come una donna «sfuggente e misteriosa» «continuamente trascolora negli aspetti delle cose della natura… fino a che vi si dissolve totalmente, rifluendo nella nudità del paesaggio» (Federico Roncoroni). Si può parlare, non a torto, a questo proposito di una  comunione «mistico sensuale con la natura». 

E questa, insieme a La pioggia nel pineto, a Meriggio, a La sera fiesolana, a I pastori, è una delle grandi poesie che fanno dell’Alcyone un capolavoro della poesia di tutti i tempi. 

D’Annunzio fu l’ultimo cantore d’una felice adesione alla vita, prima della grande crisi che di lì a poco avrebbe investito uomini e scrittori del XX secolo.

(1^ puntata)

 

Sandro Marano

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