Pregiudiziali. “Preliminari”. Regolamenti. Regole e regoline. Così si combatte l’ultima (?) battaglia sulla giustizia che vede da una parte il Pd – forte della sentenza di condanna definitiva a Berlusconi – e dall’altra il Pdl che del Cavaliere rappresenta la volontà. Alzi la mano chi, tra i nostri lettori, abbia chiaro il quadro della situazione. Tranquilli, non ce l’hanno chiaro nemmeno i componenti della Giunta per le elezioni del Senato dove si sta combattendo a suon di espedienti l’ennesima puntata di uno scontro che resta materia oscura anche per gli addetti ai lavori. Terminati gli argomenti giudiziari (condanna confermata in Cassazione) e quelli politici (è chiaro come le larghe intese sono esaurite) resta il fronte aperto delle procedure dei codici, dei cavilli e dei pronunciamenti: un terreno oggettivamente poco nobile come epilogo della “grande guerra” tra berlusconiani e antiberlusconiani.
Prima o poi, comunque, arriverà il voto sulla decadenza di Berlusconi. Di certo arriverà il pronunciamento della Corte d’Appello sull’interdizione. E poi qualche altra sentenza. È chiaro allora – al di là dei tempi più o meno lunghi – che il quadro politico voluto a tutti i costi da Giorgio Napolitano si presenta fragile perché si basa su un presupposto falso: a nessuno, in verità, piace o interessa la “grande coalizione”. O, per lo meno, l’emergenza economica non è percepita tale da una classe politica incapace di disincastrare se stessa. A dire il vero Berlusconi, pur di chiudere la propria questione giudiziaria (e davanti a un accanimento oggettivo nei suoi confronti), aveva accettato di buon grado la convivenza con i “comunisti”. Il Pd da parte sua, per debolezza e disorientamento dopo la batosta della “non vittoria”, aveva dovuto accettare la coabitazione con gli “impresentabili”. Caduta la “promessa” della pacificazione per il leader del Pdl i margini per le larghe intese sono crollati. Figuriamoci in casa Pd dove nessun ulteriore “favore” a Berlusconi è possibile adesso. E dove il giocoforza con il Movimento 5 Stelle rappresenta lo stimolo a chiudere la partita con l’odiato Cavaliere dovendolo segnare stavolta questo “gol” a porta vuota.
Nel centrosinistra, di fatto, la linea è tracciata: non fosse altro per la paura di doversela vedere un domani con il proprio elettorato. Il problema, allora, è proprio nel centrodestra. Lo ha spiegato Vittorio Feltri al Fatto quotidiano: «È il comportamento del centrodestra in generale a essere schizofrenico. Non sono mai riusciti a legiferare in modo non dico intelligente, ma nemmeno conveniente». La stessa legge Severino, come ha spiegato Maria Stella Gelmini, è stata votata dal Pdl “sotto lo stress” dettato dalla piazza inferocita. Insomma, questa vicenda testimonia ancora una volta non tanto la consustanzialità del rapporto tra Berlusconi e il suo partito ma proprio il vuoto che sta attorno a Berlusconi. Falchi, colombe, fedelissimi o potenziali traditori che siano, poco o nulla si muove davvero “nonostante” il Cav. Solo Gianfranco Rotondi, all’interno del Pdl, ha reputato opportuno dare un segnale di vita lanciando la propria candidatura (definirla di bandiera è un eufemismo) alla premiership: ed è tutto dire per un partito che rappresenta quasi il 30% degli elettori. Fuori dal Pdl, invece, ci sono Giorgia Meloni e Flavio Tosi a rendere politicamente dinamico e problematico un quadro altrimenti ingessato. Ed è qui, che dovrebbero nascere le “larghe intese” tra chi anima il centrodestra: nel dibattito sul ricambio della leadership.
@rapisardant