Nel 1899 gli italiani di Dalmazia rivendicavano i loro sentimenti patriottici sulle pagine di un elegante periodico fondato a Zara, “La Rivista Dalmatica”: oggi quel pregiato prodotto rinasce sul web, per essere al passo coi tempi, sempre edito dall’Associazione Nazionale Dalmata che ne curò le uscite sin dal secondo dopoguerra. Un eclettico contenitore di storie, riflessioni, appelli, passione e amore per l’Italia, oggi si trasforma nel primo giornale sul web a trattare di temi inerenti le storie degli italiani di Istria, Venezia Giulia e Dalmazia. Un prodotto editoriale che mancava e che le comunità degli esuli richiedevano a gran voce.
«“La Rivista Dalmatica” è stata per decenni espressione della comunità dalmata in esilio. Fondata a Zara nel 1899, ha raccontato la storia e la cultura e rappresentato le istanze degli italiani che da secoli abitavano la Dalmazia. Fino al settembre 1943, quando le vicende belliche che portarono alla nascita dello Stato jugoslavo impedirono di continuare quell’esperienza. Rinacque nel dopoguerra, a Roma, dimostrando una tenace volontà di sopravvivenza alla drammatica questione delle terre italiane Oltre Adriatico. Dal 1968 viene pubblicata dall’Associazione Nazionale Dalmata, contribuendo alla diffusione della causa degli esuli istriani, fiumani e giuliano-dalmati. Ora, nel 125° anniversario dalla fondazione, si trasforma in larivistadalmatica.it. Le sfide sono nuove, l’epoca pure e noi, dalmaticamente ossia coraggiosamente, ci adeguiamo donandole una veste più consona e soprattutto capace di interfacciarsi e dialogare con le nuove generazioni, pur mantenendo il rigore e l’autorevolezza di sempre». Così la presidente dell’Associazione Nazionale Dalmata, Carla Isabella Elena Cace, ha presentato il nuovo sito, che ha ricevuto, tra gli altri, gli auguri e gli interventi del promotore della Giornata del Ricordo, onorevole Roberto Menia.
«Dal torchio in ghisa al magazine online sono passati centoventicinque anni» ha ribadito il nuovo direttore, Gabriele Marconi, «ci siamo lasciati alle spalle il Ventesimo secolo e stiamo chiudendo il primo quarto del Ventunesimo. Eppure, al contrario di quanto scritto da Eric Hobsbawm, il Novecento si è rivelato un secolo sterminato che continua a condizionare il presente. Noi cercheremo di ristabilire la verità, ma senza trascinarci dietro il peso invalidante di un passato doloroso. Saremo implacabili contro chi continua a rimestare nel fango della menzogna e dell’omertà, ma è il momento di rendere viva la saggezza antica che ammonisce ad essere “custodi del fuoco e non guardiani delle ceneri”. E lo faremo onorando la storia e la cultura di quelle terre. Il futuro inizia oggi».
Ho avuto per capi l’Ambasciatore Tomaso De Vergottini, figlio del podestà di Parenzo, trucidato. Massimo onore a quelle vittime dell’odio comunista ed anti-itaiano. E poi Egone Ratzenberger, orgogliosissimo fiumano. Molto parlammo di quelle dolorose vicende. Però, ciò detto, occorre anche tornare sul fatto che nell’Istria-Dalmazia italiana, prima della WWII, andava fatta una politica diversa nei confronti della maggioranza slava. Perchè sulla costa gli italiani erano da secoli culturalmente-socialmente la leadership di quelle terre, ma l’interno, i contadini ecc., erano slavi. E noi, come tutti gli altri Paesi, va detto, non fummo molto lungimiranti. Addirittura imponevamo sovente il cambio dei cognomi. Mi ricordo, ad esempio, di un passaporto rilasciato a un signor Del Re, emigrato in Argentina, il cui padre era König (tedesco, non slavo) diventato negli anni ’20 Del Re, con Decreto prefettizio, che mi fu consegnato… Gino Colaussi, calciatore campione del mondo nel 1938 era Colàusig… Come tanti altri.. Le minoranze non andavano ‘italianizzate’ a forza… Nel Sud Tirolo per anni solo le bombe, purtroppo, sono servite… Ed oggi possiamo andare orgogliosi di Sinner…Non il monumentale Arco della Vittoria di Piacentini…
Noto che qualche novello antico blatera di Alto Adige senza saperne un briciolo di quella realtà storica.Il monumento alla vittoria con relativa piazza , corso Italia con corso libertà sono gli unici luoghi moderni belli che tolgono ancora quel senso periferico che sa di fieno e mucche al pascolo..