Il neodirettore di Repubblica Mario Orfeo ha rivolto una severa accusa alla destra italiana, stigmatizzandola, citando Antonio Gramsci, per un presunto “cadornismo”, in un chiaro riferimento alla controversa figura del generale Luigi Cadorna, noto per la sua gestione dispotica e fallimentare durante la Prima Guerra Mondiale. Secondo Orfeo, la destra incarnerebbe un modello di leadership rigida, riluttante a riconoscere i propri errori e pronta a riversare la colpa su fattori esterni. Si tratta, senz’altro, di una critica che richiede una riflessione approfondita, poiché questo fenomeno di autoreferenzialità non è di certo esclusivo di un’unica fazione politica.
La stagione del leaderismo
Nel corso della sua lunga parabola storica, difatti, la sinistra non è stata certo immune da simili dinamiche di accentramento del potere, per non parlare della venerazione dogmatica del leader. Anzi, il principio secondo cui “il capo ha sempre ragione” ha costituito uno dei cardini ideologici di numerosi movimenti progressisti, tanto in Italia quanto sullo scenario internazionale. Emblematici in tal senso sono i regimi dell’Unione Sovietica stalinista o della Cina maoista, in cui qualsiasi insuccesso veniva puntualmente attribuito a sabotatori o nemici esterni, mai al leader supremo, la cui infallibilità restava intatta.
La sinistra leaderistica
Questo paradigma non è stato estraneo nemmeno alla sinistra italiana. Per decenni, i vertici dei partiti hanno imposto dall’alto le loro direttive, scoraggiando qualsivoglia forma di dissenso interno. Le difficoltà o gli insuccessi erano interpretati sempre come ostacoli determinati da cause esterne o da una mancanza di disciplina delle basi. Si configurava, dunque, una sorta di “ipse dixit” politico, dove la parola del leader era indiscutibile e ogni forma di critica veniva tacciata di tradimento.
Il vero problema, infatti, è responsabilizzare la classe dirigente, specie periferica. Un tema che, si capirà, non è circoscritto ad un singolo schieramento ma che riguarda, più in generale, tutta la classe politica.
Forse il direttore di Repubblica dovrebbe volgere lo sguardo anche verso il passato recente della sinistra italiana. Una lettura politica interessante, ma che seleziona i propri bersagli a seconda della convenienza, rischia di risultare scarsamente credibile, e una critica seria all’autoritarismo e all’incapacità di ammettere i propri errori dovrebbe partire proprio dall’introspezione politica.
La storia ci insegna che le responsabilità, prima o poi, devono essere assunte e chi critica dovrebbe innanzitutto fare i conti con le proprie contraddizioni o, almeno, con quelle della propria parte.
Il nodo delle classi dirigenti
Il “cadornismo”, inteso come forma di deresponsabilizzazione, insomma, è un fenomeno trasversale, viene da lontano, ha più origini e Gramsci stesso usò il concetto criticamente anche verso la propria parte, nel diffuso suo discorso sulla “rivoluzione passiva” e sulla mancata integrazione tra reparto avanzato della politica e masse. Detto ciò, buon lavoro al direttore Orfeo!
‘Cadornismo’? quello faceva il generale del suo tempo e pagò per la sconfitta di Caporetto. Mi ricordo di quel generale che fece fucilare, durante la rotta, un soldato che aveva buttato le armi e gli aveva riso in faccia. Lo trovarono morto su di un treno alcuni anni dopo. Qualcuno della famiglia, o un commilitone, ricordava….
Morfeo dice scempiaggini ben nello stile ‘Repubblica’…
Un altro napoletano?
Sono d’accordo e il paragone fra la Meloni e Cadorna mi sembra assolutamente improprio. Le ultime Caporetto (della Lira e dell’economia italiana) non sono state certo colpa sua. Devo ammettere però che, mentre a sinistra c’è stato nel corso della seconda repubblica un rapido ricambio di leader, e nella prima la Dc aveva vari cavalli più o meno di razza, il centrodestra è rimasto molto più legato al culto del capo. Lasciamo perdere Almirante, che per altro, idealizzato post mortem, aveva dovuto sostenere i suoi bravi duelli prima, da oppositore, con Michelini, ingiustamente dimenticato, poi con Rauti; pensiamo però alla fini-latria e all’assenza di dibattito interno in Alleanza Nazionale almeno sino al 2003. Oggi io auguro lunga vita fisica e politica a Giorgia Meloni, però devo ammettere che, se dovesse venir meno, sarebbe difficile trovarle un sostituto. A sinistra dopo la sconfitta di Occhetto emerse D’Alema, che riuscì a portare il Pds al governo a prezzo di farci complici di un conflitto assurdo come quello in Kosovo (bombardare un paese cristiano a beneficio di una minoranza musulmana mentre si avevano le prime avvisaglie dell’11 settembre…); caduto D’Alema e sconfitto Veltroni, tornò in auge l’immarcescibile Prodi, ma poi dopo la parentesi Letta emerse la stella cometa di Renzi. Oggi abbiamo la Schlein, che in un primo tempo era stata sottovalutata, ma che sta andando oltre le previsioni, perché, ci piaccia o meno, interpreta la percezione della realtà delle nuove generazioni cresciute con la musica rap e trap, la propaganda lgtb, una visione manichea della storia ormai prevalente nelle aule scolastiche e universitarie.
Lunga vita a Giorgia, dunque; ma intanto Fdi farebbe bene a preparare una nuova classe dirigente, investendo sui giovani.