Il 19 maggio del 2007 faceva molto caldo nella piana di Arezzo eppure a migliaia scesero laggiù a imbottirsi di panini e pizzette di dubbia provenienza (la moda dello street food d’autore era ancora di là da venire). Antonio Conte aveva pochi e radi capelli e sedeva sulla panchina sbagliata, quella dei padroni di casa e non strepitava per conquistare uno scudetto ma accarezzava la ruvida sensazione di chi sta per retrocedere. Di fronte, la Juventus cercava i tre punti necessari per uscire ufficialmente dal campionato di serie B dove era finita per le note faccende giudiziarie del 2006. Terminò con un 5-1 per i bianconeri e Madama ottenne la promozione con tre giornate di anticipo. Quel giorno in campo c’erano Buffon, Chiellini, Marchisio e Nedved, tutti sopravvissuti, tutti presenti nella Juventus “hexacampeao” (come direbbero i brasiliani), i primi tre ancora qui in maglietta e calzoncini, Pavel passato in tribuna con il blazer. Ma ancora uomo squadra, vice presidente accanto all’amico Andrea Agnelli.
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In questi ultimi anni, coloro che nelle applicazioni calcistiche della favola di Esopo ricoprivano il ruolo della volpe, hanno sostituito l’uva, irraggiungibile e quindi acerba, con il “fatturato”, altrettanto irraggiungibile. Lo aveva usato anche Antonio Conte e se ne andò dalla Juventus, oltre che per il fatto che è un allenatore che prosciuga se stesso e gli altri e a un certo punto deve traslocare, perché pensava che la Juventus, con il suo fatturato non avrebbe mai potuto competere con i giganti d’Europa e raddoppiare i tre scudetti che con lui aveva conquistato. “Non si entra con 10 euro in un ristorante da 100 euro” il celebre assioma. A parte che il Leicester un anno fa e l’Atalanta, ora a un passo dal quarto posto, dimostrano che esistono le eccezioni, la scusa del fatturato è ridicola come tutte le scuse.
La Juventus che risaliva dopo un anno in serie A, quel 19 maggio, era meno competitiva di Inter, Milan, Roma. Nel 2011, quando arrivò Conte, club e squadra erano ai minimi termini. La Juventus è stata ricostruita giorno dopo giorno, non era diversa dall’Inter attuale, fuori dall’Europa, al settimo posto.
No, il segreto della Juventus sta proprio in quella foto di gruppo. Tre calciatori in campo, uno dirigente, a scandire negli anni il senso della continuità, dell’appartenenza. Quel giorno ad Arezzo tutti avevano, netta, la sensazione che fosse finita una bella scampagnata. C’erano molte speranze, ma nessuno immaginava che, dieci anni dopo, la Juventus si sarebbe seduta su questa piramide di successi e record: 6 scudetti consecutivi, tre Coppe Italia, tre Supercoppe italiane, due finali di Champions League. Accanto a quei tre, nella foto ricordo di chi ha vinto i sei scudetti si sono aggiunti Lichtsteiner, Barzagli e Bonucci. In questi anni la Juventus, pur cambiando, è riuscita a mantenere la sua solidità grazie al blocco storico, Buffon in testa, capitano e gentiluomo che si è sempre preso le responsabilità sue e degli altri. Il segreto per vincere non è il fatturato, ma un’idea comune, un allenatore abile nella gestione, una società che sa assecondarlo e (discretamente) correggerlo.
La forza della coesione
Come battere la Juventus? Più che il fatturato, gli altri club dovranno cercare di coprire la distanza dai bianconeri sul piano della coesione, con l’idea che anche i fuoriclasse sono parte di un insieme. Più che i gol subiti (la Juventus ne ha presi più degli altri anni) o fatti (Napoli e Roma hanno segnato di più) e dei soldi spesi, la differenza la fanno i desideri degli uomini.