Senza andare a disturbare il capolavoro di Akira Kurosawa “Rashomon”, “Storia in Rete” di gennaio affonda il bisturi nel fenomeno sfaccettato del tradimento. Un fenomeno quantomai soggettivo, quantomai sottoposto alle logiche della giustizia del vincitore. Perché il voltagabbane sconfitto è un infame,ma quello finito dalla parte giusta è un eroe. Così come il patriota, l’avventuriero, il martire di un’idea sconfitto viene bollato di tradimento da chi gli ha messo la testa sul ceppo, mentre quello che vince ha monumenti e piazze dedicate. Basti pensare al caso – raccontato nell’ultimo libro di Alessandro Amorese sul FUAN, da cui “Storia in Rete” estrae e pubblica un capitolo – delle polemiche attorno agli “articolo 16”, ovvero quei personaggi che durante la Seconda guerra mondiale passarono dalla parte degli angloamericani, e che – sebbene legalmente “traditori” per lo Stato italiano – vennero protetti dall’articolo n. 16 del Trattato di Pace, che impediva all’Italia di perseguirli.
A dare lo spunto a questo numero della rivista diretta da Fabio Andriola è però un saggio del filosofo israeliano Avishai Margalit in cui viene suggerita una tesi dirompente: e se il collaborazionismo fosse da rivalutare, in quanto patriottismo di necessità? Nota infatti Margalit che laddove hanno retto governi-fantoccio, persecuzioni e massacri sono stati generalmente meno duri che nei territori puramente occupati dalla Wehrmacht. Il filosofo tuttavia manca di considerare il caso più eclatante (anche se borderline) di collaborazionismo, quello dell'”alleato occupato” della Repubblica Sociale Italiana. Un caso che meritava d’essere discusso sul suo saggio e che merita d’essere discusso nel dibattito pubblico, proprio in questi giorni surriscaldato in occasione della ricorrenza del 27 gennaio. Un dibattito che potrebbe trovare utilissimi argomenti tanto nell’analisi che Aldo G. Ricci fa del collaborazionismo e della RSI, quanto dei sorprendenti documenti inediti a firma Guido Buffarini-Guidi che “Storia in Rete” pubblica, i quali gettano una luce nuova sulle reali dimensioni e dell’antisemitismo del fascismo repubblicano, situandolo ben al di là tanto di certi riduzionismi reducistici quanto soprattutto della frusta tesi del “male assoluto”.
Sempre a suon di documenti poi è lo scontro-dibattito attorno alle tesi di Pino Aprile, ospite fisso (assieme a tutte le immaginabili polemiche che certi temi portano con loro) del mensile. Tema di questo mese è il (presunto) bombardamento di Messina operato dalla Regia Marina all’indomani del terremoto: crimine del Regno d’Italia o leggenda urbana?
Altre due succose anticipazioni poi raccontano la guerra civile russa, di cui ricorre il centenario. Il suo inizio, in Ucraina – con gli inevitabili paralleli fra il 1918 e la situazione geopolitica attuale – e la sua fine, con l’ultima avventurosa cavalcata nelle steppe di Ungern Khan. Minuziosa e dettagliata è la vicenda raccontata da Francesco Dei in una monumentale storia militare della guerra civile russa, di prossima uscita per Mimesis, mentre il ritratto del Barone che cercò di riunire tutti i popoli dell’Asia Centrale in un nuovo khanato viene da un reportage nientemeno che del maestro del giornalismo Mario Appelius, recentemente ripubblicato da OAKS.
Infine, un’intervista con Emanuele Merlino, sceneggiatore del fumetto “Foiba rossa. Norma Cossetto, storia di un’italiana” in cui si anticipano anche alcune tavole tratte dalla graphic novel pubblicata da Ferrogallico che racconta la vicenda dell’istriana martire per mano dei partigiani titini nel 1943.