Ernesto Galli della Loggia fotografa lo iato che separa dalle classi dirigenti quello che una volta sarebbe stato individuato quale il Paese reale. È nella provincia che questo distacco diventa un autentico fossato. Perché è qui che gli effetti delle politiche degli ultimi decenni hanno prodotto i loro effetti più deleteri, svelando tutta l’inconsistenza dei sogni promossi all’inizio degli anni ’90.
Lo individua proprio Galli della Loggia nell’immagine dei capannoni che chiudono. Delle imprese che erano un tutt’uno col territorio che le ospitava. Fabbriche che, alla lunga, finivano per diventare simbolo di città e comunità. Una dimensione dell’impresa, se vogliamo, più umana che definiva e scolpiva anche le potenzialità, la cultura e il genio di genti e territori. Tutto, però, è andato a catafascio. Prendete il caso dell’automobile. Dalla Lancia, che contese alla Fiat il primato dell’anima piemontese, lavoro etica ed eleganza fino all’Alfa Romeo, che coltivò il sogno di unire l’Italia, Milano e Napoli, sotto il segno del Biscione. E ancora la motor-way dell’Emilia: le storie dei fratelli Maserati, di Ferruccio Lamborghini e il sogno di Enzo Ferrari. Oggi si spengono gli altiforni.
Il nazionalismo descritto dalla pena di Ernesto Galli della Loggia è assolutamente conforme a quanto accade. Un rifugio, una fuga dalla realtà. I suoi simboli sono nelle foto in bianco e nero, nelle atmosfere color seppia, nell’Italia dei poveri ma belli che guardavano al futuro con fiducia, dato che c’era da ricostruire un Paese distrutto. Non c’è nulla, tranne forse la cucina, che scaldi gli animi degli italiani in una contesa internazionale. È crollata la narrazione dello straniero generoso, del “liberatore” che inietta soldi e si fa anche un po’ ingannare dall’italico genio dell’arrangiarsi. Nemmeno il calcio, l’ultima azienda nazionale in grado di raccontare il Paese, s’è salvato. Diventa, dunque, normale e naturale rifugiarsi in un “si stava meglio quando si stava peggio”. Sempre a patto di considerare peggiore del nostro un mondo senza internet e con l’articolo 18.
Nell’agone politico la tensione si spiega in un “tifare contro”. A ogni costo. Più le classi dirigenti, a cui si imputa l’insoddisfazione del presente e (soprattutto) il fallimento delle promesse alla base del post-Muro di Berlino, sostengono un tema, più le masse (il popolo non c’è più) si mettono all’opposizione. Non vivremo mai di turismo né saremo mai tutti professionisti. Non siamo diventati tutti borghesi, anzi: i ranghi delle fasce medie sono sempre più radi. Queste promesse, dunque, si sono infrante. Ciò spiega l’avverarsi di fenomeni altrimenti illeggibili, come quello dei genitori no-vax: particolarmente convinti che i governi facciano gli interessi delle aziende, che perseguono il solo loro interesse particolare, dubitano persino di un presidio minimo di sanità e igiene pubblica. Scuotendo, così, alle fondamenta la concordia hominum che dovrebbe essere alla base di uno Stato.
Occorrerebbe un nuovo patto nazionale, magari costituzionale. Ciò è reso quasi impossibile dalle circostanze esterne: essendo inserita in un contesto internazionale, l’Italia non può autonomamente darsi vesti nuove, mutar forma. Altra benzina sul fuoco del dibattito che individua, così, all’estero i suoi nemici e inizia a rivendicare sovranità nazionale, forte del buon senso che ricorda il dovere di essere padroni a casa propria, scordandosi però di essere uscita sconfitta dall’ultima guerra mondiale, di non avere un’economia potente al punto da poter contare granché sui tavoli, di non avere grandi infrastrutture né centrali di soft power da far contare nelle (eventuali) trattative e di aver perduto il vantaggio strategico che derivò all’Italia dall’essere terra di confine rispetto all’Est comunista.
Insomma, chi comanda non può far niente e si arrabbia ventilando lesa maestà; chi obbedisce è sempre più infuriato e meno disposto a farlo.
Analisi pessimistica, ma che mi trova totalmente d’accordo. I velleitarismi non servono. Servirebbe un pugno di politici, alla Einaudi, con prestigio e sostanziale disinteresse personale e di parte, nel breve periodo, tale da infondere rispetto ed agglutinare un consenso vero e non contingente, effimero… Quelli che oggi non ci sono. Quindi le ‘masse’ si rifugiano in un irrazionale odio antisalviniano o in animalismi ed ambientalismi ‘gretini’ e risibili. Quelli che scrivono sui social che i cinghiali hanno tutto il diritto di invadere le strade cittadine perchè l’uomo ha invaso le campagne… e molte altre stupidate del genere…