Viviamo in un mondo nel quale i romanzi distopici spesso anticipano il futuro e offrono varianti della realtà fino a disegnare una dinamica al passo con la letteratura di fantascienza. Quanti avrebbero potutto immaginare solo 50 anni fa una catastrofe come Chernobyl? Addirittura una “chiusura” in casa mondiale come quello che quest’anno abbiamo vissuto per il Covid-19? Ancora: tecnologie che garantiscono i riconoscimenti facciali, la lettura della temperatura dei passeggeri semplicemente inquadrandoli con dei “puntatori” o braccialetti elettronici che controllano in qualunque parte del pianeta è una persona? La variazioni in laboratorio di particelle del Dna?
Le società postmoderne
La deriva delle società postmoderna viene letta e interpretata, con un ritmo ben scandito e una crescente angoscia, dalla giovane tedesca esordiente (un bell’esordio, c’è da dire) Julia von Licadou (1982) che ha dato alle stampe un libro nel quale descrive la crisi di Riva Karnovsky, campionessa di Highrise diving, lancio con paracadute e tuta speciale dai più alti grattacieli. Amata da schiere di fan, ottiene contratti millionari, sponsorizzazioni faraoniche e successo mondiale con tutto il seguito di fan, influencer, gadget ecc. Riva, che ha scelto uno sport estremo che solo chi lo pratica può capire quanto coinvolgono le emozioni e l’adrenalina, vive in un’epoca che richiede un impegno costante e performance sempre maggiori. Tutto questo in una società che impone il cumulo di punteggi, in cui le emozioni vengono verificate da apparecchi portati al polso, in cui sono obbligatori esercizi fisici, dove il controllo sociale è molto stretto, con monitoraggi vari dalle telecamere ai sistemi di credito. Ma un giorno avviene che Riva cade in crisi e si chiude nel suo lussuoso attico dal quale non esce più. E si lascia andare: non si allena, non partecipa più ai social. Così, viene convocata una giovane psicologa, Hitomi Yoshida, per risolvere il problema della famosa atleta. Presto la professionista scopre di essere lei stessa prigioniera, con un gioco continuo di rimandi fra chi viene spiato e chi spia senza comprendere alla fine chi è più schiavo delle telecamere e della situazione sempre più soffocante e difficile. La “morale” è questa: il massimo controllo porta a meno libertà ma soprattuto allo stravolgimento del proprio modo di essere e di vivere. Un racconto che, descrivendo la claustrofobia della società postmoderna e neocapitalistica, mostra come il cosiddetto eccesso di libetà in realtà si traduce in un annuallamento del proprio potere decisionale. Un esordio fortunato, una buona prova della scrittrice tedesca.
*Julia von Licadou, La tuffatrice, Carbonio ed., pagg. 252, euro 16,50; (trad. Angela Ricci)
un romanzo che fa pensare e rabbrividire per quel che ci attende. Bella recensione